Super Lega

Il progetto della Superlega, lanciato da 12 importanti club europei il 18 aprile scorso, sembrava fosse naufragato dopo pochi giorni a seguito delle pesanti critiche. Nove squadre si sono nel frattempo ritirate, ma le tre società promotrici (Juventus, RealMadrid, Barcellona) continuano a sostenerlo. Si rischia una lunga disputa che probabilmente sfocerà nelle aule dei tribunali; il sistema-calcio, già pressato da innumerevoli problemi, ne esce con un’immagine ancor più negativa.

Il comunicato del 7 maggio dei tre club rimarca che il progetto è stato “concepito con l’obiettivo di fornire soluzione alla situazione insostenibile che la famiglia calcio sta vivendo” mostrando una profonda preoccupazione per “l’attuale situazione economica”.

Il progetto punta l’attenzione sulla questione dei ricavi che si sono contratti (si pensi per esempio all’azzeramento, nell’ultima stagione, dei biglietti dello stadio), mentre la questione del contenimento dei costi passa in second’ordine, lasciato all’iniziativa delle singole società. Ogni organismo economico è composto da costi e ricavi, valori che si condizionano reciprocamente ed i bravi amministratori sanno trovare il giusto equilibrio fra le due voci di bilancio. Cosa che non è stata fatta nel mondo del calcio. Le società di calcio sono imprese che hanno, dal 1996, anche uno scopo di lucro, ma l’obiettivo vero è per molte società il “lucro sportivo” da regalare ai tifosi piuttosto che l’equilibrio di bilancio. Quando il monte ingaggi supera il 60-70% dei costi, il rischio che il bilancio “salti” è concreto. Il contenimento dei costi di gestione, basato su parametri obiettivi, dovrebbe essere un vincolo per tutte le società professionistiche, e sarebbe auspicabile che ci fosse un’autorità indipendente europea che garantisca la trasparenza del controllo (la gestione del fair play finanziario finora non è sempre stata lineare).

La soluzione individuata per recuperare i ricavi è semplice. Non bisogna aver frequentato la Business School di Harvard per sapere che partite come Juventus-RealMadrid attirino più attenzioni di Spezia-Milan o Juventus-Benevento. La scelta di far giocare solo le squadre top è utile solo per le società partecipanti alla Superlega, negativa per le altre. Le prime avrebbero attinto maggiori attenzioni degli abbonati alla pay e degli inserzionisti, le altre sarebbero state penalizzate. Il divario fra i club maggiori e quelli minori si sarebbe ampliato ancor più. Lo stesso campionato avrebbe subìto conseguenze ancor più negative sul piano della competitività e la Champions sarebbe di fatto sparita. Insomma la Superlega è un progetto che i club fondatori hanno ideato per risolvere i loro problemi e non quelli, come pomposamente scritto nel loro comunicato, per fornire soluzioni alla “famiglia del calcio”. C’è da aggiungere anche che la Superlega avrebbe perso nel tempo interesse. Un torneo “virtuale” concepito solo per le élite del calcio, dove non ci sarebbe una vera competizione, allontanerebbe il pubblico televisivo (l’esempio della Formula1 è emblematico: Il lungo dominio di Hamilton-Mercedes ha ridotto di molto l’interesse del pubblico verso questo sport). Il calcio è un “sogno”, come quello del tifoso dello Spezia o del Benevento di vincere con una squadra di vertice. Se si toglie al calcio il sogno, il sogno di raggiungere il “proprio scudetto”, che può essere anche quello della salvezza, quello della vittoria nella stracittadina, di entrare nei tornei europei, al calcio stesso rimane poco

Chissà se si fosse ampliata, per esempio, l’offerta degli operatori e delle piattaforme dei diritti televisivi, e se si fosse permessa la trasmissione in modalità free di due-tre partite del campionato non sarebbe migliorata la situazione dell’intera “famiglia del calcio”?