Rai-impresa

L’interesse della pubblica opinione per la componente editoriale della Rai è nettamente prevalente rispetto all’attenzione sugli aspetti gestionali. I temi gestionali non hanno mai avuto una particolare attenzione, anche all’interno dell’azienda. In Rai si presuppone che una “quadratura” sul bilancio si trovi sempre, potendo contare sul fatto che alla Rai si richiede come obiettivo il solo pareggio e sull’idea che la politica, alla quale la Rai offre tanti favori, possa intervenire con provvedimenti ad hoc. Da rilevare che al momento la Rai gode della congiuntura favorevole della pubblicità (+36% nei primi otto mesi del 2021 rispetto all’anno precedente, grazie anche agli Europei ed alle Olimpiadi).

La sottovalutazione della gestione porta a rimandare i problemi strutturali dell’azienda. Problemi che alla lunga potrebbero causare situazioni deficitarie difficili da risolvere. Per esempio, il valore aggiunto medio per personale del gruppo Rai supera di circa il 63% il costo medio del personale (per Mediaset è più alto di tre volte), ciò indica che il contributo interno alla produzione è piuttosto contenuto. È un indicatore preoccupante e nasce dal fatto che sono decenni, da quando il monopolio si è rotto, che la Rai non ha raggiunto il giusto equilibrio fra la produzione interna e l’acquisto di produzioni esterne: attingere consistentemente dall’appalto significa creare sacche di improduttività interne! Persiste inoltre l’erratissima idea che le attività di servizio pubblico comportino di per sé inefficienze. È vero invece che programmi tipicamente di servizio pubblico abbiano un consistente appeal pubblicitario.

Dal confronto con gli altri servizi pubblici, in particolare con quello più simile, France Télévision, l’azienda-Rai, non ne esce penalizzata, ma la Rai deve competere nel mercato italiano, con Mediaset e Sky, con Netflix e, Dazn. Deve essere azienda-vera per essere una protagonista nel mercato.

Dare al management pieni poteri gestionali e caricarli di vere responsabilità: questa è la soluzione.

La legge del 2015 ha assegnato ampi poteri all’amministratore delegato. Per rafforzare tale modello si dovrebbero introdurre altre due soluzioni. La durata del vertice è ora di soli tre anni: la brevità porta chi dirige l’azienda a privilegiare gli aspetti editoriali e sottovalutare le strategie organizzative. Per cui sarebbe utile allungare almeno a quattro anni (con possibilità di rielezione) il mandato del presidente e dell’amministratore delegato. (per inciso, una durata più lunga pone il vertice meno condizionabile dai risultati elettorali).

L’altra indicazione è quella di rendere veramente responsabili i vertici, la maggiore autonomia si dovrebbe accompagnare a responsabilità vere. La Rai è sottoposta la controllo di tanti organismi: l’inutile Commissione parlamentare, che ha a cuore solo l’informazione, mentre il Mise e la Corte dei Conti svolgono un controllo contabile più di facciata che di sostanza. Il mercato è il miglior giudice delle aziende e quello deve essere l’approdo della nuova Rai.

C’è da sperare che il prossimo piano industriale ridisegni l’azienda, che la trasformi in azienda vera al servizio dei cittadini-abbonati.