Crisi della pubblicità?

Nel 2000 il valore del mercato pubblicitario ammontava a 8miliardi, ventuno anni dopo a 8,7miliardi, un misero +9%. Questa limitata crescita è stata causata da due pesanti crisi economiche e dall’arrivo della pandemia. L’invasione armata della Russia in Ucraina peggiorerà ulteriormente la situazione economica e di conseguenza le prospettive di aumento dei consumi e della pubblicità.

Il mercato è quindi rimasto monetariamente stabile, anzi potrebbe decrescere.

Nell’arco di questi vent’anni, lo stesso mercato è però profondamente cambiato. C’è stato l’arrivo di un nuovo potente mezzo, il Web; mezzo che dopo due decenni è diventato il principale veicolo pubblicitario, al pari della stessa televisione, che per cinquant’anni ha dominato il mercato della pubblicità. Ora i due principali mezzi detengono il 43% ciascuno di quota del mercato, ma è probabile che il sorpasso del web sia prossimo (la quota maggiore è acquisita dalle cosiddette OTT, le grandi piattaforme di servizi e video). Mentre il mercato pubblicitario è rimasto stabile in termini di valore, il volume della pubblicità, cioè la quantità di comunicati e/o spazi pubblicitari, si è più che raddoppiato. Aggiungiamo anche che gli spazi della televisione si sono dilatati, dopo l’arrivo del digitale terrestre che ha ampliato il numero delle emittenti.

Cosa dedurre da queste considerazioni? C’è stato un aumento considerevole del volume della pubblicità ed una contemporanea diminuzione del suo valore, e quindi delle sue potenzialità. Un po’ tutto il sistema della pubblicità è entrato in una fase declinante.

Nel sistema è sorto una sorta di gioco al ribasso in cui sono tutti coinvolti.

Gli inserzionisti sono spesso portati a scegliere i veicoli pubblicitari più in base ai costi che alla qualità degli stessi. I budget che le aziende destinano alla pianificazione pubblicitaria sono sempre più bassi e ciò porta a scegliere gli spazi più a buon mercato. D’altronde l’offerta è così abbondante che agevola scelte di pura convenienza economica.

I mezzi di comunicazione sono anch’essi spinti, in situazione di crisi dei ricavi, ad utilizzare il metodo più semplice, quello di aumentare il numero dei comunicati. È più facile aumentare gli spazi, piuttosto che farli pagare di più con offerte di qualità (quali il minore affollamento, l’esclusività merceologica, o la scelta dei marchi non in contrasto con la linea editoriale).

Aprire un sito vuol dire essere “assaliti” da innumerevoli spazi pubblicitari, la ricerca della “X” utile a cancellare i banner è spesso una battaglia persa in partenza, per cui il risultato finale è l’abbandono del sito. Diversi siti-web sopravalutano i loro contenuti editoriali.

Si cita anche il caso degli influencers e della pubblicità indiretta di cui sono spesso portatori (il principio base della pubblicità è che deve essere riconosciuta come tale; la commistione fra informazione e pubblicità è vietata e si configurerebbe come un inganno verso i consumatori). Sono tanti i giovani cantanti, per esempio, che diventano sponsor di marchi commerciali quando magari i testi delle loro canzoni criticano il consumismo, esaltano il disagio sociale per poi «vendersi» alla pubblicità di profumi o bevande. Va di moda inoltre il testimonial multitasking. Vi sono chef che fanno pubblicità a più prodotti contemporaneamente, alcuni arrivano a promuovere prodotti industriali come le patatine o le capsule per lavastoviglie.

La pubblicità è un tassello della cosiddetta economia di mercato, è la fonte di finanziamento dei mezzi di comunicazione. Il declino della “corretta” pubblicità preoccupa, anche perché non ci sono altri strumenti alternativi.