I problemi della Rai

Esistono due Rai, una identificata con l’intrattenimento e l’informazione, poi c’è l’azienda Rai: le attenzioni maggiori sono ovviamente rivolte alla prima, mentre la seconda è considerata materia per gli esperti. Bisogna considerare che l’azienda-Rai, cioè la sua situazione economico-finanziaria e la sua struttura organizzativa, condiziona la qualità della comunicazione. Siccome la qualità lascia da tempo a desiderare (esclusi diversi programmi di Raitre, le fiction, le inchieste, i documentari), e ciò avviene a prescindere dal board che governa la Rai, fa supporre che la responsabilità derivi anche dalle sue difficoltà d’impresa. Se la Rai fosse autonoma finanziariamente e meno dipendente dalla politica e dai potentati esterni (i procuratori delle star, i produttori), è probabile che anche la programmazione migliorerebbe.

Come sta la Rai? Non bene, sia per condizionamenti esterni che quelli interni.

Vi sono all’orizzonte due eventi che potrebbero peggiorare la sua situazione già precaria. Il sistema di riscossione del canone basato sul contratto dell’energia elettrica, sistema introdotto nel 2015 e che aveva azzerato l’elevata evasione che c’era prima, è stato soppresso dal legislatore europeo (che vieta l’inserimento di altri oneri nelle bollette dell’energia elettrica). Dovesse ritornare il vecchio modello, basato su controlli dell’evasione molto labili, si rischia che l’evasione della tassa-canone ritorni a livelli pre-riforma e che alla Rai vengano a mancare il 20-25% circa dei ricavi da canone. C’è anche l’ipotesi della riduzione degli affollamenti pubblicitari, provvedimento che porterebbe una contrazione di circa 100milioni dei ricavi da pubblicità. Se le due ipotesi si dovessero concretizzare, si creerebbe per la Rai una situazione “fallimentare”, si replicherebbe la vicenda Alitalia. Dubito però che ciò si possa verificare. È molto probabile che verrà in soccorso la nuova maggioranza parlamentare: come sempre accade, in campagna elettorale l’opposizione chiede, per esempio, la privatizzazione della Rai o l’abolizione del canone di abbonamento, quando poi diventa maggioranza sostiene e aiuta la Rai per ottenere in cambio il supporto mediatico (le file alle mense della Caritas si vedranno o non si vedranno nei telegiornali secondo le convenienze della maggioranza politica). Non a caso il Governo si è affrettato a ribadire che per il canone verrà ancora applicata per il 2023 la regola esistente, quella del contratto dell’energia elettrica.

Al di là dei fatti contingenti, c’è da ricordare che è la stessa Rai a manifestare gravi lacune gestionali. Sono molti, per esempio, a mettere in dubbio l’efficacia del nuovo modello organizzativo scelto dall’attuale board della Rai e recepito dal precedente vertice. Con il nuovo modello si passa da un’organizzazione verticale dell’offerta editoriale ad una orizzontale: sono state cioè create diverse direzioni per le varie offerte editoriali delle reti (l’intrattenimento serale e quello pomeridiano, i programmi per i bambini, l’approfondimento, i documentari) che si vanno ad aggiungere a quelle già in essere e legate a programmi molto specifici, come l’informazione, la fiction e lo sport. Queste direzioni operano per tutte le reti, mentre la direzione della stessa rete viene depotenziata e finisce per svolgere funzioni quasi notarili. Questa scelta ha una sua ragion d’essere perché si va sempre più verso una iperspecializzazione dei vari generi di programmi. Quindi la soluzione potrebbe far lievitare la qualità dei programmi. Vi sono però serie controindicazioni.

Con il nuovo modello aumentano le direzioni, e quindi si accentua la deresponsabilizzazione, un “male” antico della Rai, dove le responsabilità sono sempre difficili da individuare. Il nuovo modello determina inoltre che l’influenza della politica e dei procuratori non può che aumentare. L’autonomia dell’azienda viene sempre meno, e sorge anche il dubbio se l’azienda voglia veramente essere autonoma, per esempio dalla politica o non trovi più “conveniente” assoggettarsi ad essa per ottenere vantaggi ed assegnare ad essa le colpe del suo malfunzionamento.

Sui limiti del nuovo modello organizzativo c’è un’altra considerazione da fare. Ogni mezzo di comunicazione ha una propria “identità”. Per lo stesso motivo per cui sono in molti a non comprare un altro quotidiano quando all’edicola non trovano il proprio, così ognuno quando accende il televisore sceglie inizialmente il “suo” canale preferito. Fra il mezzo di comunicazione ed il pubblico si crea nei fatti una sorta di “affezione”; la si chiami identità oppure linea editoriale ma di questo si tratta: il pubblico sceglie il mezzo a prescindere dai suoi contenuti, che peraltro conoscerà solo dopo averli “consumati” (nella teoria economica i prodottii editoriali si chiamano non a caso “beni esperienza”, cioè beni dei quali non si conoscono le peculiarità prima del loro effettivo consumo). Ebbene, la conoscenza di questo legame fra mezzo e pubblico non può che essere del responsabile del mezzo stesso, ed è difficile immaginare che più persone, i responsabili delle singole aree, possano avere le stesse conoscenze. Sarebbe come se il direttore di un giornale fosse sostituito da tanti direttori responsabili delle varie aree tematiche, politica interna, politica estera, cronaca, cultura, spettacolo e così via. Invece di un giornale che coerentemente, dalla prima all’ultima pagina, segue una comune linea editoriale, si avrebbe un giornale disarmonico che difficilmente incontrerebbe il favore del pubblico. I cali dell’ascolto della Rai potrebbero essere determinati proprio dal malfunzionamento del nuovo modello organizzativo.

Sono diversi i problemi della Rai. Le attenzioni maggiori da parte della nuova maggioranza saranno concentrate, com’è sempre accaduto, sugli aspetti editoriali, nell’illusione che, per esempio, avere il sostegno del Tg1 si trasformi nel consenso della pubblica opinione alle politiche governative. È l’azienda-Rai ad avere bisogno delle maggiori attenzioni, di cure particolari, saranno queste scelte a smentire l’opinione diffusa che la Rai non sia riformabile, a prescindere dalle maggioranze parlamentari.

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