Il futuro della Rai
Tutti i servizi pubblici europei attraversano una delicata fase di legittimazione. Limitati dal controllo dei partiti politici ed in difficoltà di operare nel mercato in quanto non possono esprimere le proprie potenzialità, rischiano di rimanere ai margini del sistema della comunicazione.
Da questi problemi non esente la Rai, problemi che si accentuano quando non sono chiari, nell’era del nuovo ecosistema mediale, le finalità e gli strumenti che la Rai dovrebbe perseguire, al punto che la parola “servizio pubblico” può apparire vuota di reali significati.
Proviamo, con l’ausilio dei numeri, a descrivere la situazione della Rai.
Da rilevare inizialmente che la Rai vince negli ascolti. Un dato significativo se rapportato ai suoi punti di forza, come le fiction, i programmi di storia, ed i programmi di inchiesta, che sono le sue “perle”. Ma la vetta degli ascolti è ottenuta grazie ad una programmazione che, secondo i critici, non si discosta da quella delle reti commerciali. Va ricordato inoltre che il pubblico della Rai è vecchio, l’ascoltatore medio delle reti generaliste ha un’età prossima a 60anni. Non a caso gli ascolti della fascia d’età 25-54anni, vedono la Rai soccombere a Mediaset. Pur con questi limiti, la supremazia della Rai è un indice di apprezzamento del pubblico da sottolineare.
I ricavi della Rai sono diminuiti negli ultimi dieci anni di -14%, in linea con tutte le imprese media, mentre il personale è diminuito-4%. La Rai non ha scelto se continuare a privilegiare l’autoproduzione oppure l’acquisto di programmi dall’esterno. Le due opzioni hanno difficoltà a coesistere se si massimizza l’una o l’altra: se ci si avvale in prevalenza, come è nelle tendenze di mercato, delle società esterne (rischiando di essere “prigionieri” delle stesse) si deve nel contempo rimodulare il personale interno. La mancata scelta crea seri problemi gestionali.
Il confronto fra Rai e Mediaset non può che essere del tutto indicativo essendo due realtà diverse; pur con questa premessa la questione della produttività risalta immediatamente. Il peso del costo del lavoro è pari al 39% dei costi per Rai, mentre per Mediaset è il 17% (meno della metà). Le Tv commerciali privilegiano l’outsourcing, una scelta conveniente economicamente e spesso di maggiore qualità. La creatività ha difficoltà ad affermarsi nelle grandi company, mentre è più facile che si realizzi nelle piccole e medie factory.
Il confronto più pertinente è con il servizio pubblico francese. France Télévision ha un personale di 9456unità, raggiunge il 29% circa di share, mentre il canone unitario è pari a 139€ (in Italia ammonta a 90€). Il servizio pubblico francese ha maggiori risorse, una struttura meno elefantiaca, si basa anch’esso molto sugli acquisti, mentre il finanziamento deriva in prevalenza dal canone, avendo indici pubblicitari più restrittivi.
A quest’ultimo riguardo si segnala che la Rai è il servizio pubblico “più commerciale”: il 32% dei ricavi proviene dalla pubblicità. Con quali conseguenze? Il canone, essendo una tassa, prescinde dalla qualità della programmazione, mentre la pubblicità comporta una programmazione confacente alle esigenze degli inserzionisti, spesso confliggenti con quelle degli utenti del servizio pubblico.