Rai: servizio pubblico e impresa
È eccessiva o meno la quota del 19% delle Tv nazionali che la Rai ha sul mercato pubblicitario televisivo?
Se la Rai fosse una Tv commerciale tale quota sarebbe bassa considerando che ha il 36% degli ascolti, mentre Mediaset con il 32% degli ascolti acquisisce il 57% della pubblicità. Ciò avviene perché la Rai ha indici di affollamento pubblicitario inferiori a quelli delle tv commerciali, circa un terzo in meno. Questi spazi inferiori sono giustificati dal fatto che la Rai usufruisce di una entrata certa, il canone. Questo meccanismo spiega il motivo per cui il canone di abbonamento finanzia la Rai, ma indirettamente sovvenziona l’intero sistema televisivo.
Se invece la Rai fosse un vero servizio pubblico, il 19% sarebbe una quota eccessiva, lontana dai parametri dei principali servizi pubblici europei (la BBC è senza pubblicità, per ARD e FranceTélévision la pubblicità è marginale). La Rai è il servizio pubblico europeo più commerciale, con le conseguenze che ciò comporta: per esempio la ricerca quasi ossessiva degli ascolti, la costruzione del palinsesto editoriale funzionale al palinsesto pubblicitario (e non viceversa), un palinsesto costruito “a specchio” rispetto a quello delle Tv commerciali, la sottovalutazione dei programmi culturali.
Il problema è sempre il solito: cosa è nei fatti la Rai? Gode dei vantaggi (e anche degli impegni imposti dal contratto) di essere un servizio pubblico, per cui si finanzia con la tassa-canone, ma nel contempo svolge ruoli commerciali ritenuti necessari per competere nel mercato. Le due “anime” in Rai convivono da sempre, da diversi anni l’anima commerciale nella programmazione ha preso il sopravvento, quando invece dovrebbe essere un servizio pubblico nei contenuti e impresa nella gestione.
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